Recensioni

 

Le avanguardie di pietra e il Medioevo
di Arturo Carlo Quintavalle
Conoscevo le vetrate di Umberto Zanetti, una lunga storia di ricerca attraverso le avanguardie, Magnelli parigino ma anche Kandinsky e Klee, avevo invece minore familiarità con le sue opere, dalla tecnica complessa e che, da sola, apre molte prospettive sulle interpretazioni possibili del lavoro del bolognese.
Zanetti dunque prende una pietra, un marmo, di norma con tonalità, colori di base, insomma con un "appeal" per lui particolare, e lo liscia, lo definisce nel perimetro.
Quindi traccia sulla superficie un disegno, poi, a mano, secondo un ritmo che ritengo assai lento, lo scava. Non a fondo, naturalmente, appena il necessario per stendere poi, negli incavi, un colore che è denso perchè carico di materia, oppure per inserire qualche pietra, magari uno zircone, oppure altri frammenti di "natura", nel tessuto dell'immagine.
Naturalmente il procedimento non deve ingannare: siamo di fronte a una ricerca sui materiali e sulla loro funzione, non certo ad opere di oreficeria e, infatti, se riflettiamo, la storia stessa ci conferma che il lavoro di Zanetti ha lontani antecedenti, lontane tracce. Da medievalista direi che sono i litostrati romani e soprattutto le riprese in epoca medievale, l'ambito romano dei Vassalleto, a giocare a fondo per le scelte di Zanetti. Solo su queste basi si potrà intendere la scelta del supporto di pietra o di marmo e dell'inserto coloristico che lo modifica, un inserto ottenuto prevalentemente con altre pietre, altri marmi e che usa poco colori "liberi".
Non bastano queste radici, però: Zanetti, che ha degli antecedenti figurativi, ha puntato, in tempi recenti, su un discorso nuovo che appare più stimolante. Il fascino delle sue opere a lungo meditate ha molte tracce, molti riferimenti che vanno individuati per comprendere quanta cultura, quanta esperienza sia necessaria, oggi, ad un artefice che non voglia restare nei solchi precostituiti del mercato.
Così dunque, se prendiamo La danza dell'amore, il rapporto è evidente con la cultura medievale delle pietre che abbiamo già sottolineato, ma con molte trasformazioni, a cominciare dal rapporto con Magnelli e con Kandinsky, per non parlare del profilo alla Braque della colomba. Geometrie, densità dei colori, rapporto analitico con il Cubismo che, del resto, accomuna molte delle opere di Zanetti e di Mastroianni, ma anche attenzione alla civilità del mosaico tardoantico, come è chiaro in pezzi quali Omaggio a Solnhofen.
Ma le attenzioni alla storia dell'immagine di Zanetti sono complesse, come per Il volo eterno, che si può ben ricondurre anche alle fonti della civiltà secentesca meridionale, e insieme collegare alla cultura dei paliotti carpigiani questa volta settecenteschi. Insomma Zanetti mette a punto un linguaggio dalla tonalità profondamente nuove e dai riferimenti molto articolati. Le sue forme non sono però semplicemente le forme del disegno romanico o di quello barocco, hanno infatti una diversa gamma di riferimenti che dobbiamo cogliere. Zanetti lavora sulla "natura" anche perchè ha un esperienza precisa della mineralogia e della paleontologia, e quindi il suo costruire immagini come "ridotte", appiattite, nasce da un rapporto immediato con un universo fossile che rivela la sua presenza quasi in ogni interstizio del tessuto di immagine costruito dall'artista.
Se diciamo tessuto diciamo anche rapporto storico con altri fatti: vi sono opere graffite, tenute sui bruni ed i gialli, insomma sulle terre, che riconfermano altre connessioni europee di Zanetti, quelle che lo rilegano a certo Dubuffet degli anni Cinquanta e Sessanta, mentre altri pezzi, come Il grande viaggio, fanno pensare che la cultura Jugend, soprattutto quella della Vienna di Klimt, lo abbia a fondo interessato.
Se riflettiamo, c'è molta coerenza in queste scelte, Zanetti punta infatti sulla ricerca dell'immagine che si appiattisce nella pietra come, negli strati del naturale, si fanno pietra e, quindi, a due dimensioni le forme tridimensionali degli esseri animati. La cultura che questa riduzione della forma en plat, in piatto, ha portato avanti più a fondo è quella Jugend che del medioevo ravennate riscopre le radici, e alludo soprattutto alla civiltà viennese della fine del secolo scorso e degli inizi del nostro.
A scorrere le opere di Zanetti scopriamo animali strani, uccelli che si fanno conchiglie, o, viceversa, conchiglie col becco di uccello, pesci che, insieme, sono schegge di roccia, e intere gamme di colore che vengono fuori dalla cultura dei ferri e degli smalti.
Una delle attenzioni evidenti di Zanetti è infatti per la civiltà medievale degli smalti, quelli limosini cloisonné e champlevé, e tale attenzione spiega anche molto delle novità, delle caratteristiche inusitate del "segno" dell'artista, il suo modo di perimetrare le figure, di constrastarle contro il fondo, di ricavare il disegno finale.
Medioevo, cultura Jugend, ma anche attenzione alle altre civiltà dell'immagine appiattita, della non- prospettiva, quelle Inca e Maja sopra tutti.
Eppure lo sguardo rivolto al passato non deve fare dimenticare la volontà di essere presente e partecipe della rivoluzione delle avanguardie che mi pare evidente enlla più recente opera di Zanetti. Le sue belle vetrate, alcune delle sue pietre, mi sembrano rispondere ad un discorso che nasce da Klee e da Kandinsky del Cavaliere azzurro e trova conferme anche nel lavoro, come ho accennato, di Magnelli a Parigi e di certo neo-futurista Mastroianni che, lui pure, si sa, fa dei rilievi piatti ma con altre e ben differenti tecniche. Le avanguardie, quelle del Cavaliere azzurro e il Klee degli anni Venti suggeriscono anche la scelta dei colori di Zanetti che non prende, dal futurismo, la violenza delle tinte ma resta nel "naturale", sceglie cioè le pietre, sceglie le terre. In questa direzione è Klee, più di Kandinsky credo, a indicargli la strada e anche per questo, forse, i lavori del bolognese, di grande evidenza grafica, acquistano una più lunga durata proprio grazie alla loro costruzione sottilmente tonale.
Mi sembra che lo spazio della architettura, le vetrate che filtrano la luce, ma anche i pannelli a parete oppure i pavimenti istoriati, mi sembra dicevo che questo spazio sia congeniale alle immagini di un artista come Zanetti, che, del lavoro sulle pagine di pietra della "storia naturale", è attento cultore.

Il misterioso senso della natura nella magia cromatica di Zanetti
di Giorgio Ruggeri

…ogni opera d'arte è figlia del suo tempo. Affondi pure la sua fantasia e la sua speculazione nel pliocene o nel paleozoico o in altre ere geologiche: le soluzioni stilistiche che Umberto Zanetti va configurando con felice intuizione e singolare talento avranno sempre il respiro dell'attualità. Esplori pure con immaginazione e scienza le forme embrionali che i fossili ci restituiscono a distanza di milioni di anni; riproponga pure ammoniti, diatomee e altri emblematici molluschi e conchiglie o microscopiche alghe unicellulari: con un fulmineo balzo del pensiero i suoi archetipi sono destinati a prender vita, stile o poesia nel moderno linguaggio dell'arte. I suoi elaborati pittura su tela o su tavola, pannelli, vetrate, incisioni, mosaici o che altro sia non vanno intesi nella loro comune accezione. C'è in essi qualcosa di più. C'è una componente nuova. Sembrano opere astratte ma in un certo senso non lo sono. Anche se la figurazione umana non appare, la presenza dell'uomo viene ugualmente percepita attraverso valori che la trascendono.L'uomo è presente perché viene a trovarsi ricongiunto a quell'essere unitario e misterioso rappresentato cosmicamente come natura. Le sue figurazioni geometrico-decorative veleggiano liberamente nel campo sterminato della fantasia e della conoscenza. Dai fossili, che studia e raccoglie, alle vetrate islamiche; dalle pseudo astrazioni trasognate nel suo lungo peregrinare sulle strade del mondo, al simbolismi di certi movimenti pittorici che ritrovano nel proprio contesto anche equivalenze musicali, sempre e dovunque affiora nell'opera di Zanetti il senso arcano della natura, talvolta coinvolto da un inatteso sentimento della maternità. Siano infatti spontanee germinazioni di sperduti graffoliti, oppure i nobili uccelli Quetzal simboli della vita, o altre forme vitali, la continuità della specie trova una traccia costante a conferma della perennità della vita.
Se le istanze di maggior momento sono concentrate nell'indagine fantastica del mondo primevo, sospinto da impulsi lirico-espressivi Zanetti ripercorre con pari resa pittorica e formale ogni altra avventura del suo universo poetico. Il colore resta l'emozione più profonda. In perfetto accordo con Kandisky, per lui il colore è la personificazione di un sentimento, e i tubetti di colore sono come essere umani, di grande ricchezza interiore, ma dall'aspetto dimesso, che improvvisamente, in caso di necessità, rivelano e attivano le loro forze segrete. L'originalità dell'opera di Umberto Zanetti è riposta in quel suo condurre la pittura in una regione nuova dove, tra echi di età remote e tracce di presentimenti, scopre un'archeologia del presente raccontata in forme preziose e colori stupendi, Il cui splendore finisce per travalicare le idee e porsi come tensione e luminosa energia di una nuova figurazione.

Suggestione e mondo fantastico
di Aldo Angelini
…la risposta è una: Umberto Zanetti ha una sola sintassi totalmente personale con la quale si esprime senza nulla cedere a scuola o tendenze varie e del suo particolare cromatismo si serve per dar vita, con il bagaglio di una esperienza profonda e sofferta, alle sue figure con rispetto alla prospettiva tenendo fede alle leggi dell'Arte senza anarchia pittorica, senza simboli che ne limitino l'efficacia descrittiva rispettando sempre un rapporto di figurazione che il suo gusto prima matura nella mente e poi realizza sulle tavole. Nel taglio di uno stile autonomo che è specchio della sua vocazione l'artista raggiunge intensità espressive che sono frutto della sua profonda umanità: pittura insomma che concilia le sue esperienze con il costante amore per l'arte. Direi che Umberto Zanetti si serve della materia morta per creare materia viva rispettando i momenti della verità della vita con il mistero delle comuni aspirazioni e con il segreto dei comuni ricordi. Il successo dell'artista è tutto qui: mantenersi autentico lungo la strada della sua appassionata avventura che non vuole essere altro che leale e viva comunicazione alla società del suo messaggio spirituale.

Le immagini insepolte
di Franco Solmi
Umberto Zanetti riesce cioè ad assumere i linguaggi dell'avanguardia storica come fossero essi stessi materiali fossilizzati, sottoposti ad una usura del tempo e del pensiero che li ha resi innocui, e li porta ad incrociarsi con quei segni senza tempo e senza spazio tratti dalla materia. Con la lenta e lontanante icasticità del facitore d'antichi cartigli, li fonde nell'astrazione dell'immagine caricandoli di significazioni magiche che non varrebbe tentar di spiegare al di fuori del loro presentarsi come segni di un rituale, quello dell'arte, al quale non si ricorre per comprendere, ma per vedere e per sentire. Non vale dar spiegazioni citando il fatto che Zanetti mutua il suo mondo da quello dei fossili che studia e raccoglie. Piuttosto di fronte a questi “nuovi fossili” che egli crea con tanta affascinata magia, vien da pensare che l'atto del raccogliere sia sempre posteriore a quello dell'immaginare, Zanetti vive la sua storia di moderno evocatore di misteri, di creatore d'oscurità limpidissime, così come soltanto può viverla un artista per il quale l'oggetto è poesia nel suo farsi o non è. Questo spiega il suo privato dialogo con le cose e, forsem, anche quel suo meditato appartarsi rispetto alla vicenda quotidiana dell'arte alla quale, invece, profondamente partecipa attraverso lo specifico dell'opera E' facile avvertire come il linguaggio di questo solitario si leghi con straordinaria naturalezza alle linee “non provinciali” dell'arte d'Europa, mediando stupori e linguaggi mediterranei con le suggestioni di più enigmatiche solarità: tutto si fonde così in una immagine il cui fascino, come sempre avviene in ciò che diciamo poesia, deriva dal porsi non come risposta ma come interrogativo inesplicabile sul nostro essere di uomini senza vero presente.